Imparare ad ascoltarsi nel silenzio della natura
Breezy sta curando una mostra che si terrà a Roma, presso l’ex Cartiera sulla prestigiosa Via Appia Antica, il 22 - 30 aprile, per indagare il complesso rapporto tra essere umano e tecnologia con gli occhi del nostro tempo. Per accompagnare l’evento ed introdurre tutti gli artisti che vi prenderanno parte, abbiamo pensato di condividere con voi il processo di ricerca e studio che c’è dietro l’ideazione di un concept curatoriale dal titolo: I(m)perfection: le leggi della tecnica che dominano l'ordine e il caos. Lo faremo con dei brevi saggi che guarderanno alla tecnologia nel suo rapporto con il concetto di bellezza, nella sua evoluzione attraverso i secoli. Parleremo di arte e filosofia, di ordine e caos, di ponderazione matematica ed improvvisazione. L’interrogativo con cui vogliamo introdurvi alla lettura è: Dove risiede il concetto più puro e autentico di bellezza? Nella proporzione ed equilibrio delle forme o, piuttosto, nel caos indisciplinato?
ARTICOLO DI SERENA NARDONI
Dire che una cosa è bella è un giudizio; la cosa non è bella in sé, ma nel giudizio che la definisce tale
- Giulio Carlo Argan, L’arte moderna 1770/1970
Ebbene, abbiamo fino a qui cercato di perseguire l’ordine, ricercare armonia e bellezza, di ancorare ciò che conosciamo ad una qualche legge degli uomini… Oggi prendiamo tutto questo e cerchiamo di guardare oltre.
Oltre gli schemi si celano, forse, l’essenza più sincera e pura della bellezza, nonchè la nostra vera essenza. Lo slancio dell’essere umano è sempre stato volto verso il raggiungimento di nuovi obiettivi, della conoscenza di sé, della realtà tangibile o meno, ma esistono fenomeni che sfuggono al nostro controllo e alla predeterminazione. Può questo senso di impotenza intaccare il nostro comune senso di equilibrio e armonia? Questo interrogativo ha smosso gli animi dei letterati, filosofi e artisti di un’epoca in particolare, quella a cavallo tra la metà del Settecento e l’Ottocento.
Il veicolo di questa rivoluzione mentale è l’Illuminismo, che suggerisce un’idea di perfezione che passa per una nuova chiave di lettura della natura, non più forma immutabile e sempre uguale a se stessa, che si può solo copiare. L'uomo moderno non sottostà alle leggi della natura, ma può scegliere di imporvi la propria impronta e trasformarla, con un ventaglio di possibilità illimitato. In base al diverso atteggiamento dell’essere umano dinanzi alla natura e alla sua propensione ad abbracciare il proprio ruolo attivo, Kant fonda la sua critica del giudizio, distinguendo un “bello pittoresco” e un “bello sublime”. Due pensieri che nascono nel solco del Romanticismo, traendone il sentimento, l’interiorizzazione delle emozioni e restituendo una visione soggettiva e personale, radiosa o tormentata che sia della realtà. Il fenomeno, ovviamente, non è casuale: con l’avvento della tecnologia industriale, l’artigianato entra in crisi e l’artista ha la necessità di reinventarsi. Esclusi dal sistema industriale, gli artisti diventano intellettuali borghesi indipendenti e fioriscono correnti di pensiero profondamente diverse.
Lo spirito del pittoresco si esprime pienamente nella pittura paesaggistica del Settecento, quale forma espressiva dell’intimo sentimento dell’artista che si sottrae alle rigide leggi della prospettiva e del disegno. Ciò che l’artista cerca è la varietà, l’imprevedibile: non esiste un concetto universale del bello, ciò che si persegue è tradurre la sensazione tangibile in sentimento.
La natura, nelle sue infinite manifestazioni, è un concetto difficile da abbracciare con la mente. Ciò suggerisce in un’altra parte del mondo dell’arte e della letteratura un sentimento di impotenza. L’uomo è un punto invisibile nell’universo: dinanzi a mari in tempesta e lande ghiacciate, non possiamo che sentirci minuscoli, in balia di fenomeni che non possiamo illuderci di controllare.
Le posizioni del pittoresco e del sublime si traducono in due diverse tipologie di giardino, attirando le attenzioni degli storici dell’arte su un tema che difficilmente ha destato lo stesso interesse in altre epoche. Nella prima metà del Settecento nasce il cosiddetto “giardino all’inglese” che, guardando al modello orientale, si presenta come un giardino apparentemente incolto e spontaneo. Al contrario, il giardino all’italiana si caratterizza per un’organizzazione ordinata degli spazi e della vegetazione, con aiuole e siepi studiate per convogliare lo sguardo verso una lettura prospettica e un punto di osservazione privilegiato che amplifica lo spazio o prevede giochi d’acqua spettacolari (celebri sono la villa d’Este a Tivoli, nei pressi di Roma e il Giardino dei Boboli a Firenze).
Da visioni concettuali così contrapposte, non potevano che derivare linguaggi espressivi ugualmente diversi. Ecco che se il pittoresco si esprime attraverso tonalità calde e luminose, con tocchi vibranti che danno risalto al particolare, al dettaglio dissonante in un quieto villaggio contadino, il sublime suggerisce una visione catastrofica del futuro, con colori foschi, pallidi, disegno duro e corpi che si dimenano ma restano imprigionati in schemi geometrici da cui è impossibile fuggire.
Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia, 1818, Hamburger Kunsthalle, Amburgo
Come nel dipinto di Friedrich, manifesto del sublime, noi siamo lì, in piedi su una roccia, ad osservare impotenti lo spettacolo ai nostri piedi. Una vista certamente affascinante, che si estende a perdita d’occhio, ma che lascia aperto il dubbio su cosa ci sia oltre, cosa sfugge alla comprensione? Pensieri e sentimenti che il viandante affronta nella propria interiorità. Lui, che si è incamminato in questo viaggio per contemplare lo spettacolo terribile della natura, riflettere sulle scelte fatte, le opportunità perdute, le aspettative e le paure che verranno.
J.M.William Turner, Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi, 1812
Tra i maggiori interpreti dello spirito del sublime, Turner è conosciuto come il pittore della luce.
Quella luce che non ha confini, e che secondo la Teoria di Goethe, è una luce che “plasma la realtà”, che la svincola dalle regole. Non è un caso che Turner abbia dedicato quello che possiamo considerare come il manifesto della sua pittura allo scrittore tedesco (Light and Colour - Goethe’s Theory, 1843). Se non leggessimo il titolo dell’opera, difficilmente potremmo risalire al tema rappresentato. L’episodio storico, infatti, è solo l’espediente per poter proiettare tensioni e dolore nel cielo, carico di una tempesta di neve.
Accanto all’impetuoso fluire della natura e all’impotenza dell’essere umano, c’è il fiorire dei ricordi di momenti felici trascorsi nella vita autentica della campagna. Si crea un legame affettivo con la natura, che è accogliente, delizia cuore e spirito.
Nel dipinto di John Constable, Il carro di fieno, si immortala una scena comune della vita bucolica nella campagna di Sufflok: un carro di fieno sosta accanto ad un corso d’acqua nel quale si specchia una modesta abitazione, fiancheggiata da alberi ombrosi. Sullo sfondo, vasti campi coltivati toccati dalla luce che irrompe dalle nubi. Tutto è calmo e a misura d’uomo.
A differenza dei cieli di Turner, quelli di Constable sono sereni e trasmettono emozioni positive, personali e nulla di più. Se in Turner, infatti, non è raro trovare rappresentazioni di scene mitologiche, bibliche o storiche, le cui emozioni si riverberano nei fenomeni atmosferici, in Constable la natura non allude a nulla più di se stessa.
Sotto i suoi cieli, Constable rappresenta solo ciò che ha conosciuto e frequentato: la regione del Suffolk, le colline di Hampstead e i dintorni di Salisbury.
John Constable, The Hay Wain, 1821, National Gallery, London
Quindi quel senso di imprevedibilità e di mutevolezza della realtà non per forza spaventa, ma anche commuove. Liberati dalle rigide argomentazioni di chi si è a lungo sforzato di dare una spiegazione a ciò che di più misterioso esiste, ossia la vita, si apre quel capitolo della storia dell’arte che inseguirà vertiginosamente l’affermazione della personalità dell’autore. Non è un caso che proprio alla fine del Settecento gli artisti iniziano a dare un titolo personale alle proprie opere che non sono più mere rappresentazioni di ciò che è oppure è stato, ma versi poetici che raccontano un’altra dimensione: quella dell’animo umano.