Portare sul corpo i segni delle proprie emozioni

Breezy
Apr 12, 2022 10:46AM

Breezy sta curando una mostra che si terrà a Roma, presso l’ex Cartiera sulla prestigiosa Via Appia Antica, il 22 - 30 aprile, per indagare il complesso rapporto tra essere umano e tecnologia con gli occhi del nostro tempo. Per accompagnare l’evento ed introdurre tutti gli artisti che vi prenderanno parte, abbiamo pensato di condividere con voi il processo di ricerca e studio che c’è dietro l’ideazione di un concept curatoriale dal titolo: I(m)perfection: le leggi della tecnica che dominano l'ordine e il caos. Lo faremo con dei brevi saggi che guarderanno alla tecnologia nel suo rapporto con il concetto di bellezza, nella sua evoluzione attraverso i secoli. Parleremo di arte e filosofia, di ordine e caos, di ponderazione matematica ed improvvisazione. L’interrogativo con cui vogliamo introdurvi alla lettura è: Dove risiede il concetto più puro e autentico di bellezza? Nella proporzione ed equilibrio delle forme o, piuttosto, nel caos indisciplinato?

ARTICOLO DI SERENA NARDONI

Nel contributo precedente si è parlato di come l’uomo, nel momento in cui si è dovuto confrontare con nuovi strumenti tecnologici, abbia individuato nella natura il suo oggetto di contemplazione, rapportandosi ad essa con sentimento reverenziale o nostalgico. Ecco che i sentimenti trovano spazio nel racconto dello spazio naturale incontaminato del proprio tempo, che è terribile e accogliente allo stesso tempo.

Ma c’è uno spazio invisibile che può essere ancora più controverso della realtà fisica: quello dell’animo umano. Le emozioni non sono più proiettate su un oggetto esterno, ma affiorano dalla pelle e segnano il corpo, che diventa una mappa del vissuto individuale. Le premesse di questo moto di ricollocazione del centro di rappresentazione dei sentimenti si collocano verso la fine dell’Ottocento e, precisamente, raccontano la storia del progresso industriale sotto un inedito punto di vista, ossia quello del pubblico cittadino, un concetto fino a quel momento inesistente. L’arte, infatti, non si relaziona più solamente con la committenza aristocratica, borghese o religiosa, ma anche col cittadino comune che ha accesso alle “esposizioni” (tra le quali particolare rilievo hanno le “Esposizioni Universali”, la prima delle quali si svolge a Londra nel 1851) e che è stimolato nell’esprimere un proprio giudizio estetico. Non è un caso che, quale reazione ad un’arte eccessivamente didascalica - come il Realismo - ovvero piacevole e/o specchio della quotidianità - come l’impressionismo - la corrente del Simbolismo cerchi di ristabilire la “naturale” distanza tra il pubblico di massa e gli impegnati cultori dell’estetica artistica.

Questa è una storia che ancora ignora gli stravolgimenti che di lì a poco avrebbero dilaniato l’Europa e il mondo intero. Le avanguardie artistiche, termine militare con il quale era definito il reparto più avanzato durante le marce, nel corso dell’Ottocento va a definire i movimenti politici, letterari o artistici che assumono posizioni di rottura, guidando non solo il gusto, ma anche e soprattutto le coscienze della società intera. L’artista è il vate che guida il popolo verso il disincanto, indaga oltre il messaggio apparente e restituisce la dura realtà delle cose, spesso anche adottando un atteggiamento provocatorio e instillando il disgusto nell’osservatore. Tutto, pur di smuovere le coscienze collettive anestetizzate dai poteri forti.

Questo senso di disordine generale si riconosce anche nel fermento con cui questi movimenti si avvicendano nel tempo, senza la possibilità di definirne i contorni: non una storia di correnti artistiche, ma di singoli artisti, ognuno con una propria personalità e identità interiore. Il primo a parlarne apertamente è Kandinskij, che nel suo “Lo spirituale nell’arte” e nel saggio “Il problema delle forme”, richiama l’attenzione sulla necessità di esprimere la propria interiorità. Ciò che davvero conta è il contenuto spirituale, che forgia le forme quali mezzo di connessione tra artista e fruitore, in un precario equilibrio tra il rischio di incomunicabilità e di formalismo estetico.

Ma accanto ad un’arte spirituale che prescinde del tutto o in parte delle forme, il mondo espressionista comprende tendenze che rifiutano del tutto l’astrazione per rivolgersi alla società, spesso con intento di critica sociale e politica. Due opposte interpretazioni che pur convivono nello stesso Paese, ossia la Germania. A Monaco si segue la tradizione simbolista con il movimento Der Blaue Reiter, mentre a Dresda e poi a Berlino è attivo il gruppo di Die Brücke, che pone al centro dell’arte la figura umana («il nudo, fondamento di tutte le arti figurative») e ricerca uno stile “tedesco”, affiancando le tendenze primitiviste (comuni a tutta l’avanguardia europea) allo studio delle opere xilografiche, calcando sull’indipendenza dalle influenze esterne di Cubismo e Futurismo.

La ricerca dello spirituale condotta attraverso lo stile astratto di Kandinskij viene addirittura sbeffeggiata: l’arte non deve inseguire una purezza ideale, ma rivolgersi al pubblico e alla società. Il richiamo all’azione, già presente in Die Brücke, è ora più violento e necessario, considerata anche la situazione politica della Germania nel 1925. Questa stessa violenza trova sfogo anche nel movimento dei Fauves, “le belve” francesi foriere di un disagio interiore che, a fine Ottocento, già aveva trovato spazio nell’arte di Edvard Munch e James Ensor.

Edvard Munch, The Scream, 1893, National Gallery and Munch Museum, Oslo, Norway.

Forte dell’eredità ricevuta, l’Espressionismo si pone quale movimento socialmente e politicamente “impegnato”, ma mentre i fauves si esprimono con una classicità mitica e universale, riletta in chiave onirica; il Die Brücke si ribella ad un passato opprimente, nel cui ricordo il presente si disperde.

Ancora diverso è anche il sentimento che muove i due movimenti: ricordando la produzione di Henri Matisse, emerge la spinta vitalistica, la gioia e l’energia trasmesse attraverso l’uso del colore in chiave simbolica. Proprio la gioia di vivere è il soggetto di uno dei suoi maggiori capolavori, dove il tema delle bagnanti, caro a Cézanne, è reinterpretato calcando sulla dimensione di benessere e gioia condivise. Attraverso l’uso di colori molto saturi, la resa bidimensionale dei volumi, la predominanza del giallo e delle tonalità calde, si trasmette non tanto un senso di quiete e pacatezza, quanto la vibrazione del sogno, del “tutto è possibile”, l’energia vitalistica che trasuda dalla natura e, con essa, dai corpi. Sono anni di forte innovazione del settore produttivo, anni in cui tutto corre veloce sui binari di quel movimento anch’esso avanguardistico che sarà il Futurismo, anni in cui davvero non sembrano esserci limiti, soprattutto nel fervente clima intellettuale della Parigi di quegli anni, tappa imperdibile per gli amanti delle arti.

Henri Matisse, Joy de vivre, 1905-06, Merion, Barnes Foundation

Il viaggio interiore condotto dagli artisti del Die Brücke non guarda con ottimismo alla mèta, bensì calca con irrequietezza ogni singolo solco lasciato lungo il percorso: il fulcro della ricerca di questo gruppo è l’azione creativa dell’artista, laddove la tecnica precede l’immagine. Non a caso la tecnica maggiormente diffusa è la xilografia, che consiste nello scavare con un atto di forza una matrice in legno, sulla quale si imprime un segno dall’aspetto rigido e spigoloso. Una scattosità che permane anche nella pittura, dove la pennellata ha la stessa forza dell’incisione, l’impasto del colore è denso e corposo, steso a macchie e senza passaggi di tono o sfumature. Lo stile esalta le brutture dell’animo umano, esprimendo nostalgicamente una bellezza ormai corrotta dalle difficoltà della vita.

Egon Schiele, Self-portrait with lowered head, 1912, Leopold Museum, Wien

Il sentimento comune ai due moti dell’Espressionismo è quello di dissociazione dell’Impressionismo, nel suo carattere essenzialmente legato alle sensazioni che dal mondo esterno sono catturate dall’artista come un’impressione lasciata nella coscienza. L’espressione è un moto che dall’interno si manifesta all’esterno, deturpando anche il corpo. Quel senso di marcio inconfessabile, quella spaccatura dell’animo che cerchiamo di soffocare agli occhi della società, emergono oltre la superficie sottilissima dell’epidermide, con effetti devastanti: smorfie grottesche, corpi tumefatti o scheletrici dal colore malato.

Da cosa derivano queste brutture? Certamente la critica è allo spirito sociale del tempo, ormai segnato dall’affermazione dell’industrializzazione che ha alienato l’essere umano e soffocato il suo spirito creativo, la sua identità. Siamo automi che azionano macchine capaci di operare in vece nostra. Solo l’arte, come lavoro puramente creativo, può sollevare nuovamente l’uomo e rimetterlo in contatto con “il bello”.

Ecco che si palesa uno dei maggiori conflitti dell’uomo moderno: quello tra essere umano e macchina. Eppure, davvero possiamo ancora parlare di un vero e proprio conflitto? Il progresso, come una medaglia, ha le sue due facce: da un lato la crescita del benessere e dall’altra l’allontanamento dalla dimensione interiore e creativa. Perché il progresso non è solo alienazione e meccanicizzazione dei processi produttivi, ma anche un disorientamento del proprio io causato dal correre troppo veloce.

È possibile intendere questi moti opposti come le pulsioni di uno stesso cuore, piuttosto che come forze antagoniste che strappano l’animo umano? Certamente sì, e possiamo farlo solo cercando di diventare effettivamente qualcosa di unico con il risultato del progresso da noi perseguito e fortemente voluto.

La tecnologia non è qualcosa di esterno a noi o un mostro incontrollabile, ma è parte del nostro pensiero, una risposta a necessità che fino a ieri neppure sapevamo di avere, ma che rientra pur sempre nell’ancestrale propensione dell’essere umano a ricercare la conoscenza. Ancora e ancora. La tecnologia è una nostra creatura, è come un figlio che, una volta dato alla luce, nutrito e cresciuto, si volta verso il proprio genitore e lo sostiene a sua volta, mostrandogli ulteriori incredibili possibilità.

Convivenza è la parola giusta. Una pacifica e consapevole convivenza.

Breezy